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27 luglio 2008

Nucleare: ritorno al passato.


Sono trascorsi 21 anni dal referendum che ha bloccato nel nostro Paese la prosecuzione del programma nucleare per la produzione di energia elettrica e con un solo colpo di spugna (tanto per cambiare) si cancella l’esito della consultazione referendaria.
Quesito che tra l’altro aveva abrogato altre due norme molto contestate l’una che consentiva di bypassare il dissenso delle Regioni e l’altra che prevedeva solo udienze pubbliche scavalcando e marginalizzando i poteri dei Comuni. in merito alla localizzazione dei siti ospitanti le centrali nucleari.
A rafforzare questo principio di autonomia è intervenuta la modifica dell’art. 117 della Costituzione (Titolo V) che ha affidato alle Regioni, tra le materie concorrenti, proprio quelle relative alla produzione di energia ed il governo del territorio.
Ne consegue che a Costituzione vigente lo Stato non può che determinare i soli principi generali ma non certo sostituirsi alle Regioni per tutto ciò che attiene alle scelte di come produrre e dove collocare gli impianti tenuto conto che la loro localizzazione determina in maniera quasi permanente problemi di servitù nelle aree interessate.
Le Regioni devono poi fare i conti con le spese necessarie alla redazione dei piani di emergenza e di evacuazione previsti per questo tipo di impianti dalle Norme Europee che vanno ad incidere sui bilanci regionali.
E’ importante sottolineare questo particolare aspetto poiché l’attacco frontale che viene portato dalle coorti berlusconiane alla struttura del nostro sistema di regole di convivenza ha prodotto i suoi primi effetti.
La militarizzazione delle discariche per affrontare l’emergenza rifiuti in Campania utilizzando l’argomento che sono sedi ritenute strategiche per il Paese, potrebbe tranquillamente essere trasferito alle aree oggetto di insediamento delle future centrali nucleari sovvertendo e calpestando l’elementare diritto dei cittadini di esprimere il proprio dissenso.
Come la prenderanno tutti quei cittadini che ora plaudono all’energica ed autoritaria azione del governo quando si comincerà a definire la dislocazione delle nuove centrali e magari capiterà di trovarsela proprio dietro il proprio giardino?
Non bastano le segnalazioni di incidenti anche molto vicino a casa nostra (Slovenia e Francia) per suggerire molta cautela nel lanciare senza se e senza ma una campagna di ricorso al nucleare ancorché basato su tecnologie oramai obsolete e superate tecnologicamente.
Il Governo Prodi non aveva chiuso le porte al nucleare ma molto saggiamente aveva aderito ad un programma internazionale per lo sviluppo e al ricerca di soluzioni per le cosiddette centrali di quarta generazione.
Centrali dotate di tecnologie che permetteranno di limitare drasticamente la produzione di scorie radioattive a bassa attività per le quali si pone il problema del loro smaltimento cosa che non può avvenire per incenerimento come i rifiuti urbani ma solo attraverso il loro confinamento in aree super protette o tramite lavorazioni molto costose.
Ma andiamo con ordine perché come tutti i problemi sembra ragionevole iniziare l’analisi chiedendosi innanzitutto a quali necessità risponda questa incontrollabile voglia di nucleare.
La prima e la più perentoria è come produrre più energia per il nostro sistema produttivo e per i privati cittadini a costi ragionevolmente più bassi affrancandosi dalla dipendenza della fornitura di petrolio, diversificando le fonti di approvvigionamento delle risorse energetiche.
Partendo da qui occorre fin d’ora dire che attualmente siamo già in una fase di riduzione progressiva nell’uso del ricorso al petrolio impiegato come combustibile per la produzione di energia elettrica che di fatto è passato da un quota del 30% nel 2000 all’11% nel 2006 (fonte TERNA).
Una prima risposta a questa domanda è aumentare le risorse da mettere a disposizione per lo sviluppo di progetti di maggiore efficienza energetica e di risparmio nell’uso delle risorse.
Solo onorando l’impegno Europeo che prevede il raddoppio della quota della produzione di energie rinnovabili dal valore attuale del 16% al 32% sarebbe di per sé sufficiente per assorbire completamente il consumo di petrolio dal nostro sistema di produzione di energia elettrica.
Lo sviluppo delle interconnessioni delle reti di trasmissione dell’energia elettrica, nell’ottica della diversificazioni delle sorgenti di approvvigionamento da realizzare con partners europei, può essere un’altra risposta alla domanda crescente di energia elettrica tenuto conto che nei Paesi Balcanici (Croazia, Bosnia, Kosovo, Serbia , Montenegro) ci sono più di 10 mila Mega Watt di energia idroelettrica (prodotta con l’acqua) inespressa.
I relativi progetti che permetterebbero di sfruttare questa fonte di energia rinnovabile a basso costo potrebbe essere realizzati entro 3-4 anni ( fonte TERNA ).
Sono tutte fonti di energia a basso costo che potrebbero essere utilizzate anche nel nostro Paese ed evitare così di costruire altre infrastrutture.
Puntare sul gas che si stima sia disponibile in quantità pressoché doppia rispetto al petrolio permetterebbe all’Italia di puntare su un mix di risorse energetiche importante.
La demagogia del Ministro Scaiola che fa balenare l’idea dell’energia a basso costo non dice che comunque bisognerebbe aspettare almeno 4-5 anni per vedere le prime centrali realizzate ed in grado di produrre energia elettrica.
Il sistema Paese ha bisogno di diversificare e di pagare meno cara la bolletta oggi, mentre invece dobbiamo fare fronte ad un prossimo aumento della bolletta nel prossimo mese di luglio per + 8%.
Non credo di allontanarmi molto dal vero se affermo che le grandi aziende nazionali e multinazionali dell’atomo vedono all’orizzonte nuove e più consistenti business.
Non ultimo la scelta del nucleare non affranca l’Italia dalla dipendenza da altri paesi per l’approvvigionamento del combustibile che in questo caso è l’uranio.
Il rischio è di vincolarsi ad un mercato dell’uranio dominato da pochissimi produttori privati che a differenza delle grandi compagnie petrolifere non sono soggetti contrattuali governati da organismi politici come l’OPEC.
Questo significa consegnarsi nelle mani di produttori che possono determinare il prezzo dell’uranio in base a regole che possono variare da produttore a produttore in maniera incontrollabile.
Giova ricordare che il prezzo dell’uranio era di 7 dollari l’oncia nel 2000 per schizzare agli oltre 120 dollari nel 2007.
Quale potrebbe essere il prezzo dell’uranio tra quindi ci o venti anni quando le eventuali centrali italiane saranno a regime?
Sarà ancora così conveniente il costo del KW/h?
La seconda domanda è quale le potrebbe essere il contributo delle centrali nucleari alla riduzione di emissioni di gas serra in conseguenza dell’ipotetica riduzione al ricorso delle centrali termoelettriche a combustibile fossile ?
Risposta: il protocollo di Kyoto non ha incluso il nucleare nell’elenco delle politiche atte a ridurre l’emissione dei gas serra!
E non poteva nemmeno farlo tenuto conto del fatto che il contributo mondiale alla produzione di energia elettrica, prodotta dal nucleare, scenderà dall’attuale 6,3% al 5% del totale nel 2030 (fonte Key world energy statistics, 2007).
Sono ben altri i valori di riduzione dei gas serra che la comunità internazionale chiede agli Stati membri quale impegno concreto per invertire la tendenza globale al progressivo riscaldamento del pianeta che sta manifestando con il progressivo scioglimento dei ghiacci polari con conseguenti effetti devastanti sul clima mondiale.
Gli impegni europei del nostro Paese prevedono riduzioni del 50-80% entro il 2050 ed almeno del 20% entro il 2020.
In Italia perciò visto che l’obbiettivo minimo da raggiungere entro il 2012 e dell’ordine del 6,5% non può riguardare il nucleare poiché per quella data è altamente improbabile avere anche solo una sola centrale in servizio senza contare l’aumento della domanda di energia che nel frattempo si manifesterà per effetto di richieste maggiori per imprese e servizi.
In sintesi tre sono le strade da percorrere per evitare un'inutile e costosissima rincorsa al nucleare:
1) aumentare l’efficienza degli utilizzatori finali (aziende e privati) incentivando progetti di riconversione e defiscalizzando l’uso delle energie alternative a cominciare dal settore pubblico che fin da subito dovrebbe investire sul fotovoltaico e sul solare;
2) puntare sulla diversificazione delle fonti e dei fornitori spingendo sul gas realizzando i rigassificatori e potenziano la rete di distribuzione riconvertendo le centrali termoelettriche,
rivalutando la possibilità di realizzazione di nuove centrali idroelettriche nel rispetto dei vincoli idrogeologici dei territori;
2) aumentare l’uso delle rinnovali ad iniziare dai Comuni e dall’ANAS con programmi di sostituzione dell'illuminazioni pubbliche con pali a pannello fotovoltaico.

Giorgio Sasso (I.D.V. Ferrara)

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