Elezioni Europee 2014

07 marzo 2007

Il Sen. Rossi e la crisi di Governo.



Ora che il governo ha riottenuto la fiducia e il Paese ha scampato il rischio di elezioni anticipate, sarebbe utile tentare una riflessione a mente fredda su quanto è successo nei giorni convulsi del voto al senato sulla relazione di D’Alema. Premetto, e vorrei fosse chiaro, che la mia non sarà una difesa d’ufficio del senatore Rossi, anche se è una persona simpatica. Sarà, invece, una difesa dei principi che cercherò di spiegare.

Operazioni da lui compiute in passato, come un accordo in un bar (e già la scelta del luogo la dice lunga) di via Garibaldi con esponenti di Alleanza nazionale per far cadere la prima giunta Sateriale, sono indecorose e non hanno nulla a che fare con la Politica, per quanto io non condivida molte scelte dell’amministrazione comunale, turbogas e inceneritore in testa. Ed è per queste sue operazioni che Rossi è indifendibile. Ma le polemiche seguite alle dimissioni del governo e al non voto del nostro senatore hanno preso una brutta piega, abbiamo assistito ad un vero e proprio linciaggio morale inaccettabile. Decenni di pensiero liberal-democratico, che fanno parte anche della nostra Carta Costituzionale, sono stati seriamente messi in discussione nel momento in cui si è cercato un capro espiatorio alla crisi di governo e lo si è indicato al pubblico ludibrio quale causa di tutti i mali. Alcuni editoriali, poi, a firma di persone che pure hanno avuto un trascorso politico e soprattutto i toni usati, sono veramente preoccupanti e indicano una pericolosa deriva della democrazia. Insomma, di questo passo rischiamo di buttar via il bambino (i principi di libertà) con l’acqua sporca (i vari Rossi, Bianchi e Verdone, per parafrasare il titolo di un film).

Sono poco avvezzo alla real politik e credo sia nota la mia contrarietà all’ampliamento della base di Vicenza. Lo dichiaro per rendere esplicita la mia posizione. Per tornare al nostro senatore, facciamo finta per un attimo che al posto di Rossi ci fosse stato il senatore Bianchi (un nome a caso) dal passato politico irreprensibile. Prescindendo, dunque, per un momento dalle storie personali dei protagonisti, giusto o sbagliato che sia, il nostro senatore ha votato secondo coscienza, senza vincolo di mandato, secondo le prerogative che la Costituzione assegna ai rappresentanti del popolo. Una norma che i Costituenti vollero proprio perché gli eletti dal popolo non fossero sottoposti a ricatti di sorta. Se non si condivide questo principio Costituzionale si abbia il coraggio di cambiare la nostra Carta fondamentale, tanto cambiamento più cambiamento meno... Per questo è sbagliato dire, come si sente fare ad ogni capannello, che Rossi avrebbe dovuto dimettersi prima se non era d’accordo con il governo. Non è così che funziona, anche perché non è un ministro.

Credo, e qui faccio un discorso che è alla base dei principi dell’illuminismo prima e del pensiero liberale poi, che la coscienza dell’individuo debba sempre essere fatta salva e tutelata da qualsiasi pressione dell’ordine costituito, anche quella di Nando Rossi, che ci piaccia o no. Ha sbagliato Rossi ad obbedire alla propria coscienza o il governo a non ascoltare la propria base elettorale su questioni di politica estera scottanti che coinvolgono principi fondamentali come la pace? Non è per caso che vi sia un malessere reale nel Paese e quindi nella maggioranza? Perché non chiederselo invece di far finta di niente? Del resto una maggioranza che debba fidare il proprio operare sui senatori a vita è sempre in pericolo: un inciampo può succedere sui Dico (su cui le pressioni della Chiesa trovano sponde molto permeabili dentro e fuori la maggioranza), sulla politica economica, sulle politiche sociali, sulle questioni che riguardano la vita e la morte, ecc. Siamo sicuri che su tutto questo la maggioranza sia unita?

É inutile nascondersi il fatto, e va detto per completezza, che qualcuno possa cavalcare il malessere che serpeggia nel Paese per riproporsi con una rinnovata verginità, come sembra voglia fare Rossi con una nuova formazione politica di cui, per altro, non se ne sente il bisogno. Se è questo che Rossi vuol fare, allora sia coerente con la storia alla quale dice di richiamarsi e si dimetta, ora sì, dal Parlamento, ma non per aver votato contro il governo, ma per costruire così il suo partito nella società civile, tra la gente, le loro lotte e sofferenze quotidiane, come fecero i padri fondatori del Pci, e si presenti poi al giudizio dei cittadini attraverso il voto e il confronto. Rinunci alla comoda ribalta mediatica che gli è fornita dalla carica istituzionale che ricopre (per altro ottenuta grazie ad una legge elettorale perversa) e ricominci dal basso. Si misuri con la realtà e lasci perdere le alchimie della politica, quella con la “p” minuscola minuscola, gli accordi nei bar e torni a fare il manovale nell’officina della Politica.

Giuseppe Fornaro

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